Giornalista e scrittore
 

Curiosità su Cesario Picca

Curiosità su Cesario Picca e il premio cronista dell’anno, ma anche su Saru Santacroce, sulla mia vita e sul mio lavoro

Curiosità su Cesario Picca come il premio cronista dell’anno vinto nel 2002, ma anche sul cronista Saru Santacroce, che è il mio alter ego, sulla mia vita e sul mio lavoro. Un modo per conoscerci un po’

Il premio cronista dell’anno

Cesario Picca e il premio cronista dell'anno
Il premio cronista dell’anno è senza dubbio una medaglia di cui vado orgoglioso. Non per vanagloria, dal momento che tra i difetti che so di avere questo non mi appartiene. Ma solo per la soddisfazione di vedere riconosciuto il valore di una complessa inchiesta giornalistica che mi è costata tanto lavoro e anche qualche minaccia. E anche, e forse soprattutto, per aver dimostrato che nel giornalismo c’è anche chi ha (o ha avuto) il coraggio di andare oltre il comunicato stampa o la verità confezionata. Che ha (o ha avuto) il coraggio di mettersi contro i cosiddetti poteri forti o presunti tali. Che va (o è andato) al di la del proprio interesse e del proprio orticello anche quando erano in tanti a consigliare di lasciar perdere per quieto vivere e per salvaguardare le posizioni raggiunte. Nei tanti anni in cui sono stato cronista in prima linea ho aiutato tantissime persone a denunciare soprusi e a trovare una soluzione ai loro problemi andando oltre le minacce e gli insulti. Ed è di questo che vado davvero orgoglioso. E il premio cronista dell’anno rappresenta per me il riconoscimento di quell’impegno.

Il mio intervento a un convegno

Di cosa mi occupo…

per oltre 20 anni sono stato un cronista in prima linea che adorava il suo lavoro. Ho raccontato tante storie e non sempre sono state belle o a lieto fine. Ho dato sempre il massimo e se ho commesso degli errori è sempre stato in buona fede. Nella folle corsa alla ricerca di una storia da raccontare la possibilità di sbagliare è sempre in agguato. Tanto impegno e tanta passione mi hanno regalato certamente il Premio cronista dell’anno nel 2002. Ma, soprattutto, mi hanno permesso di dare un senso a quella che dovrebbe essere la vera essenza del giornalismo. Perché compito di un cronista resta denunciare storture, soprusi e abusi aiutando chi ne è vittima. Cosa che tante volte, tra difficoltà e ricatti, sono riuscito a fare con immensa soddisfazione. Poi le cose cambiano, la vita ti mette di fronte a determinate scelte e la curiosità ti spinge a imboccare nuove strade…
Ora sono specializzato in seo e social media ed editoria e mi occupo dei miei gialli e del loro protagonista Rosario Saru Santacroce. Se ne vale la pena curo la comunicazione di chi ha la necessità e la voglia di dire qualcosa. Penso e aggiorno siti internet, seguo i social network, redigo comunicati stampa e gestisco momenti di crisi.
Curo l’immagine aziendale o professionale di chi vorrebbe navigare in questo oceano metafisico ma è preso dal reale e dalle sue infinite sfumature. Sono spesso relatore e/o moderatore in convegni e trasmissioni radiofoniche e televisive e organizzo e presento eventi e manifestazioni.

Avevo 20 anni quando…

decisi di imbarcarmi nell’avventura del giornalismo per fare sul serio. Fino a quel momento avevo collaborato con periodici, radio e tv locali e debbo dire che mi ero abbastanza divertito. Ma da lì a fare il grande salto, come avrei più tardi appurato, il passo sarebbe stato molto ma molto lungo.
Cominciai a collaborare con la Gazzetta del Mezzogiorno con l’allora bravo e capace direttore Domenico Faivre, morto prematuramente, al quale sono rimasto molto legato.
Non avevo mai scritto per un giornale “serio” e l’impatto fu così e così. Ma testardaggine, voglia di fare e di lavorare, oltre alla sua ala protettrice, sono state (e restano) le mie compagne di ventura. Dopo due anni ho cominciato a collaborare con il Quotidiano di Lecce con il vice direttore vicario Antonio Maglio che ricordo sempre con molto affetto. Mi resi però subito conto che Lecce mi stava un po’ strettina. Ero giovane e avevo voglia di fare una nuova esperienza. Fu così che partecipai al concorso all’allora Istituto per la formazione al giornalismo di Bologna risultando tra i 14 vincitori. Nonostante gli scontri con qualche testa di c., l’esperienza è stata molto positiva. Mi ha permesso di crescere, di affinare le mie doti professionali e di diventare un giornalista professionista. Ho coronato così quello che allora era un sogno.
In quella circostanza ho conosciuto Nico Perrone. Dopo l’esperienza professionale al magazine sportivo “Forza Bologna”, il mensile ufficiale della società rossoblù, mi chiamò quando fece nascere il Domani di Bologna (poi diventato l’Informazione).
Mi sono occupato con passione di cronaca nera e giudiziaria, ciò di cui poi mi è sempre piaciuto scrivere. Ed è stato proprio grazie al Domani che nel 2002 sono stato insignito del premio cronista dell’anno Piero Passetti (vedi a inizio pagina). Per alcuni anni ho anche collaborato con l’agenzia di stampa Adn Kronos. Poi gli anni passano, la vita va avanti, le cose cambiano, gli interessi pure. A quel punto ti accorgi che quel sogno – nonostante il premio cronista dell’anno – è solo una parte della tua vita. Pertanto è normale cercare altro, fermo restando che la vita, un dono a mio avviso prezioso, è sempre imprevedibile.

Come spesso accade…

per chi ama questo lavoro, il passo tra il giornalista e lo scrittore non è molto lungo. Da molto tempo pensavo di scrivere un romanzo, ma la mia prima creatura è stato il saggio giuridico “Senza bavaglio – l’evoluzione del concetto di libertà di stampa“. Grazie ad esso ho ottenuto numerosi attestati di stima e soddisfazioni che hanno compensato la fatica. Un ringraziamento per il completamento di questo lavoro va alle persone che vi hanno creduto e hanno voluto collaborare. Hanno dato un importante quanto prezioso contributo al testo rendendolo quanto mai d’attualità.

Rosario Saru Santacroce…

poi è arrivato lui, il mio alter ego Saru che mi ha cambiato la vita. Mi ha dato la spinta necessaria a credere in questo progetto e ora lo sto portando avanti. Un po’ mi assomiglia. Molti i caratteri in comune tra noi, con la differenza che mentre Saru è romanzato, io vivo la realtà che è decisamente diversa.
Saru fa conoscere ai lettori i meccanismi dell’informazione. Fa leggere loro veri articoli di cronaca e riporta alla luce fatti realmente accaduti. È un personaggio esplosivo, razionale, qualche volta rude e politicamente non corretto. È genuino, schietto e sincero. Va dritto alla sostanza anche se non disdegna la forma; ama la vita, odia la falsità, l’ipocrisia e il finto buonismo.
Il suo amore per il Salento traspare attraverso il gusto per la buona tavola, i prodotti e i piatti tipici, i modi di pensare e di dire, i luoghi e i ricordi. Con Saru ho cominciato l’avventura dello scrittore e mi sono lanciato nel mondo del giallo, dei thriller, della suspense, del mystery. Si dice spesso che occorrerebbe parlare degli argomenti che si conoscono. Quindi, di cosa avrebbe potuto scrivere un nerista e giudiziarista vincitore del premio cronista dell’anno?
Sono già sette le avventure date alla luce (Tremiti di paura, Gioco mortale, Il dio danzante, Vite spezzate, L’intrigo, Il filo rosso e L’ottavo giorno – la debellazione di cui potete leggere nella sezione I gialli). E altre sono in gestazione come il giallo Devi morire di cui potete leggere gratuitamente il racconto che lo anticipa cliccando qui o sul titolo del giallo. Seppur frutto di fantasia, nei miei romanzi ci trovi anche 20 anni di lavoro da cronista e molti temi legati all’attualità. Tutti a modo loro mettono sotto i riflettori un particolare argomento.
In Tremiti di paura c’è il femminicidio; in Gioco mortale si parla della trasgressione; ne Il dio danzante il conflitto tra amore e potere in un contesto di segreti inconfessabili in cui nulla è davvero come appare; in Vite spezzate c’è il doloroso tema degli abusi sui minori; nel L’intrigo si parla di esoterismo e immigrazione; Il filo rosso spiega che spesso sbagliare non aiuta ad imparare ma a morire.
In tutti c’è sempre un goccio di salentinità che con il mistero tiene inchiodato chi legge. Ai lettori piacciono e finché io e Saru avremo voglia di scendere i campo ci sarà divertimento per tutti.

Sono nato…

alle 2,15 di un lunedì di fine agosto a Taviano, una cittadina della provincia di Lecce. Siamo nel profondo e meraviglioso Salento. Qui l’Italia assume la forma del tacco di uno stivale ed è baciata da una parte dal mar Ionio e dall’altra dal mare Adriatico. Quando ho esternato il primo vagito le campane, mi ricordo bene, non le hanno suonate. Mi consola pensare che non l’abbiano fatto per non svegliare la gente che doveva alzarsi presto per andare a lavorare.
Ma credo che sia stata anche una scelta dettata dalla saggezza tipica salentina. Perché dalle mie parti, a quel tempo, avevano il grilletto facile. Se solo l’allora parroco della chiesa di San Martino, don Salvatore, un padre affettuoso e severo per tutti quelli della mia generazione, si fosse solo sognato di tirare le corde penso che non si sarebbe goduto la vecchiaia. Dunque, sono leccese di nascita ma bolognese di adozione. Sono ormai tanti anni che vivo e lavoro sotto le Due Torri e che calpesto il rivestimento dei portici della città rossa. E sono certo che in quel premio cronista dell’anno ci sia molto di Lecce e Bologna.

Qualche anno fa…

tra le curiosità su Cesario Picca merita senza dubbio questo episodio. Mi sono laureato dopo innumerevoli sacrifici. Come probabilmente molti di voi sanno, lavorare e studiare non è poi il massimo della vita. Ho completato gli studi in Economia bancaria all’Università di Lecce dove ai miei tempi dei professori c’era da fare un impasto e gettarlo nell’olio bollente.
A tal proposito mi piace sempre ricordare un aneddoto dell’estate del 1995. In quel periodo dovevo sostenere l’esame di Economia politica 1. Un esame molto impegnativo. Il professore, ma era un modus facendi di tutti e in questo caso non conta che il prof in questione fosse di Bari (che già è un handicap), arrivò alle 11 nonostante l’appello fosse stato fissato alle 9.
L’aula, una delle più grandi di Ekotecne (così si chiama il bellissimo posto in cui è ospitata la facoltà di Economia) era stracolma. Lo era così tanto da non riuscire a contenere gli studenti in attesa di quell’esame. Il prof, che quella mattina sarà stato girato per i cavoli suoi, si presentò con un solo assistente. Era la brutta copia di Little Tony, ma al posto della chitarra aveva una borsa di similpelle. Alla vista di quella marea di gente, il prof andò giù di testa.
“Ma tutti Economia politica siete venuti a dare? Non potevate studiare un’altra materia? Ma ve lo dico: se non avete studiato sarò spietato e vi boccerò”. Il prof, niente da dire, fu di parola. Ma non solo con chi non aveva studiato che certamente gli avrebbe fatto onore. Quel giorno fece una carneficina per le ragioni più incredibili.
Da una delle ultime file in alto, una ragazza non sentì il proprio nome pronunciato senza microfono e quando si rese conto che stavano chiamando lei era ormai già troppo tardi. Il prof le strappò lo statino (un foglio che si usava per iscriversi alla sessione d’appello) in faccia e la cacciò in malo modo. Un’altra si permise il lusso di presentare il permesso del datore di lavoro che le aveva concesso il giorno libero per recarsi all’Università.
Lei aveva il diritto di sostenere l’esame quel giorno, ma il prof le disse che per lei non ci sarebbe stato nulla da fare. Dopo qualche ora passata a fare il carnefice, il prof barese rinsavì e la situazione tornò alla normalità. Io venni spostato alla settimana successiva. Uscii dall’aula, mi recai in redazione al Quotidiano di Lecce con il quale allora collaboravo e raccontai tutto al mio capo. Insieme scrivemmo una cronaca dettagliata del delirio al quale avevo assistito.
Mi ricordo ancora il titolo di apertura del giornale: “Troppi all’appello. Tutti bocciati”. Al prof, ci mancherebbe, nessuno fece nulla. In compenso per tutti quelli che vennero sentiti in quella sessione, dopo però il giorno del delirio e l’articolo sul giornale, Economia politica 1 divenne un esame normale. La settimana successiva, al secondo round, infatti, il prof arrivò puntuale in facoltà. Era lì alle nove e con una decina di assistenti dai buoni propositi. 

Prima della laurea…

questa curiosità su Cesario Picca è senza dubbio la più carina. Avevo frequentato con molto profitto il liceo linguistico. Mi ci ero iscritto perché odiavo non poter comunicare con le persone che non conoscevano la mia lingua. Fu un successo. E devo dire che quando mi spacciavo per il francesino tutti ci credevano. Sulle ragazze aveva parecchio appeal, il fascino dello straniero. Forse sarà anche stato il fatto che allora ero più magro e più carino, ma lo giuro mi sono sempre lavato più dei cugini d’Oltralpe…

Mi ricordo in particolare una sera mentre approcciavo una bella ragazza nella marina di Torre San Giovanni. Le stavo raccontando tante fesserie sulla mia nazionalità, sulla Francia e altro ancora. Fingevo di avere non poche difficoltà a capire l’italiano. All’improvviso arrivò il mio amico Doriano Scarda con il quale ero uscito.
E come accade in questi casi rischiò di rovinare tutto. Siccome era ormai una certa ora cominciò ad urlarmi in dialetto di tornare a casa. Il mattino dopo sarebbe stata dura alzarsi presto per andare a lavorare in campagna (o a fore, come si dice in dialetto salentino). Ovviamente dovevo cercare di raddrizzare la situazione. Non era credibile che un bel francesino facesse fatica a comprendere l’italiano e poi si facesse parlare addirittura in dialetto. O, perlomeno, in quel frangente non sarei stato in grado di risolvere l’impasse con successo.
A quel punto mi rivolsi all’amico Doriano e in francese gli dissi: “Dorianò, prends le moteur qu’on va”. Come volevasi dimostrare Doriano Scarda (con l’accento sulla o per farlo suonare francese) non capì e in dialetto mi ribattè: “Ma ci ddici, nun te capiscu, cunta comu sai”. Per evitare ulteriori figuracce mi lanciai al volo su di lui e lo portai lontano salvando capra e cavoli. Da allora è rimasta la famosa locuzione: “Pronlemoteur”.

La passione per lo sport

Curiosità su Cesario Picca e il premio cronista dell'annoNella mia vita ho sempre corso. Corro sin da quando ero bambino, soprattutto per sfuggire alle ciabattate della mamma o alle scudisciate del babbo esasperati dalla mia irrequietezza. Persone meravigliose che ringrazio per quanto mi hanno regalato, per quanto mi hanno amato e per quello che mi hanno insegnato. Molto probabilmente, però, il mio amore per la corsa e per gli sport di resistenza non dipende da quello.
Con molta probabilità mi spinge la curiosità di scoprire cose nuove su Cesario Picca. Di conoscere il vero me stesso. Di saggiarne le capacità in situazioni spesso al limite come può essere una maratona o una corsa di 100 km come il Passatore. Così come la voglia di mettermi alla prova, di conoscere posti e città nuove e di incontrare gente con la quale poi si stringono delle belle amicizie.
In particolare, dal 2010 adoro correre soprattutto le maratone (42 km e 195 metri) e le ultramaratone. All’inizio una o due all’anno. Poi è diventata una sorta di (buona e sana) malattia. E pian piano le sfide annuali per saggiare la forza di volontà (ce ne vuole davvero tanta per tagliare il traguardo di una gara regina) sono aumentate. Negli ultimi anni, infatti, prima del lockdown, sono arrivato a correrne anche due o tre al mese.
Tra queste non poteva mancare il mitico Passatore, la corsa di oltre 100 km che al massimo in 20 ore porta gli stoici corridori da Firenze a Faenza scavallando l’Appennino. Una gara che offre emozioni davvero uniche che conto di rivivere quanto prima. E molto presto, ai tanti titoli in bacheca, conto di aggiungere l’iscrizione al Club SuperMarathon che viene permessa a chi ha corso almeno 50 tra maratone e ultramaratone. La sfida è appena all’inizio…
 
Per qualsiasi informazione o curiosità su Cesario Picca mi potete contattare a info@cesariopicca.it o attraverso i miei profili social

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