Libro di poesie di Marco Lodi presentato a Bologna con la mia partecipazione in qualità di gradito relatore
Il libro di poesie di Marco Lodi presentato a Bologna è stata una graditissima occasione per dare il mio contributo in qualità di relatore. Di seguito il mio intervento.
L’arte di morire alle cose, come scrive Mario nella sua prefazione, consiste a mio avviso nel dare valore a ciò che è più importante della materialità. E il nostro Marco, oltre che poeta, ha raggiunto l’età in cui è più facile comprenderlo. Pertanto la mia attenzione non poteva non essere attirata da ciò che appare evidente in questo libro:
- L’amore per la mamma che è ancora vivo;
- L’amore per il prossimo;
- L’amicizia.
È su questi tre elementi che a mio avviso Marco incentra questo suo lavoro. Al contrario del Leopardi, che pure cita in due poesie, Marco va oltre quella siepe “che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo NON esclude”. Al contrario del poeta marchigiano, Marco non si rifugia nel pensiero per andare oltre. Gli basta guardare l’Alba, la farfalla che vola, il tramonto. E per lui spunta il sereno. La gioia prende il posto del dolore, la speranza quello della disperazione.
È la metafora della vita. Da qui capiamo che nei lavori di Marco non c’è solo dolore, ci sono anche speranza e quindi gioia. La vita è un dono e merita di essere vissuto. Nonostante i suoi tanti perché, le sue tante risposte mancate, le sue imboscate, i suoi misteri. E quali sono quelle cose che gli impediscono di annegare di fronte a “un mondo estenuato” (pag 86), davanti al “muoversi inquieto dell’uomo disperato” (pag 87), di fronte al “mare agitato dell’esistenza umana” (pag 94), innanzi “all’attesa angosciata aspettando qualcosa che non avverrà mai” (pag 85), di fronte alla “cruda follia dell’uomo” (pag 76), davanti “alla gioventù lontana” (pag 72) o di fronte “a una tomba” (pag 64) magari di “un giovane che non c’è più” (pag 59)? Che cos’è che libera il nostro Marco da “un canto angosciato” (pag 90) e “dall’involversi in un dolore cupo” (pag 88).
La ricetta di Marco sta proprio nei tre elementi che ho detto prima. A Marco basta pensare all’amore ancora vivo di sua madre, basta sentire l’amore delle persone amate e avvertire il profondo sentimento di amicizia delle persone vicine. E chi, al giorno d’oggi, pensa più a queste tre pietre miliari? Presi come siamo dall’egoismo sfrenato, afflitti dalla ricerca del piacere e della materialità, storditi dal rumore assordante del consumismo, inariditi dall’uso della pecunia come unica unità di misura.
Ha ragione Mario quando dice che ormai sogno e poesia non hanno più alcun valore nell’odierna società alle prese con una babele non solo del linguaggio ma anche dell’intelletto. E chi può dargli torto? E non a caso Mario parla di un’occasione mancata. Abbiamo tutto. Ma in realtà è come se non avessimo niente. La tecnologia è una grande chance eppure non la sappiamo utilizzare. Anziché usarla per favorire il confronto con culture lontane e diverse, ce ne serviamo per seminare odio. Una volta c’erano gli amici di penna con i quali ci si scriveva per parlare un po’ degli usi e dei costumi di paesi lontani. Oggi quei paesi non sono più tanto distanti come un tempo grazie alla tecnologia. Eppure è come se lo fossero. E i social certo non aiutano in questo senso. Più che avvicinare paiono allontanare.
Prima c’era più poesia. Lo diciamo spesso. Anche nei rapporti tra le persone. Bastava la parola, una stretta di mano. Si sorrideva di più. Ci si accontentava di poco. Bastava poco per essere felici. Ora non più. Siamo alla continua ricerca di ciò che neppure conosciamo. Dobbiamo fare i conti con la furbizia, con lo scontro, la menzogna e le bugie. E soprattutto con zero altruismo.
1: L’amore per la mamma. Inutile dircelo. È ciò che di più grande ci possa essere. E non serve perderlo per rendersene conto. Almeno alle persone di cuore e sentimento. Mario nel suo scritto parla di “paradigma familiare” e lo definisce un porto sicuro. È la boa a cui attraccare nel mare in tempesta. Nella poesia La rosa rossa, Marco ci parla della mamma sulla cui tomba depone affranto. Ma seppur addolorato, non è alla tristezza che Marco si abbandona. E infatti scrive: “Non è un oblioso disperdersi in una disperazione cieca, quella che mi preme il cuore forte ferito dentro ma i mille trilli felici tra le tue braccia amorose e pronte. Amore caldo, calore dolce. Ed ecco allora mia madre, una rosa rossa per significarti un amore che non muore”. Questi versi appena letti mi richiamano molto il Foscolo. Perché, come scrive il poeta di Zante, “non vive ei forse anche sotterra, quando/gli sarà muta l’armonia del giorno/se può destarla con soavi cure/nella mente de’ suoi?”. E noi abbiamo delle persone che teniamo vive nei nostri ricordi, nei nostri cuori, nei nostri pensieri, nei nostri discorsi, nei nostri gesti quotidiani. Senza dimenticare che quei Sepolcri sono ispiratori di valori. Perché “a egregie cose il forte animo accendono/l’urne de’ forti” spingendo ad emularli.
2 L’amore per la donna che ama. È evidente quanto Marco sia innamorato della donna che da tanti anni gli è affianco e che ricambia quel profondo sentimento. Come diceva William Shakespeare “più dolce sarebbe la morte se il mio sguardo avesse come ultimo orizzonte il tuo volto e se così fosse… mille volte vorrei nascere per mille volte ancor morire”. Io aggiungo che se possiamo guardare da vivi e soprattutto se possiamo amare la persona che ci fa tremare il cuore è ancora meglio. E con quella donna, come scrive nella poesia Finale, Marco contempla il tramonto e lei si avvicina furtiva, ridendo, serena, si appoggia al suo fianco e insieme guardano silenziosi il sole che muore per poi ritornare all’alba. E qui c’è la speranza. Non c’è solo la fine del tramonto ma anche l’inizio dell’alba. Quell’amore che per Platone significa contemplazione della bellezza, conoscenza pura e disinteressata. E oggi non è facile nel vortice della vita trovare il tempo di contemplare la bellezza di una persona andando oltre il superficiale, ben al di là dell’apparire. Difficile trovare cultori della conoscenza che permetta di legarsi a una persona per quello che realmente è. Non c’è né tempo né voglia di approfondire, di legarsi, di percorrere un tratto di vita fianco a fianco. Non c’è più il piacere della condivisione. Ovviamente non è così per tutti come ci dice Marco con le sue poesie.
3 L’amicizia. Cicerone nel De amicitia affermava che l’amicizia è superiore a tutte le cose perché dona speranza e non fa piegare l’uomo dinnanzi al destino. Per quello che presuppone per alimentarsi, in passato veniva considerata un carattere distintivo dei virtuosi. La capacità di donare e donarsi al prossimo trova la quadratura del cerchio proprio nel profondo sentimento di amicizia che Marco coltiva nei confronti di chi gli sta accanto. Nella sua disponibilità. Sentimenti che vanno al di là della conoscenza. Perché è facile fare del bene a chi si conosce. Marco, invece, pratica l’amore universale e mostra affetto, rispetto, sincerità e disponibilità anche nei confronti di chi non ha conosciuto prima.
Poi ci sono le persone vicine, quelle più vicine di altre. Quelle con le quali ami trascorrere dei momenti di gioia, di intima spensieratezza. Quelle con le quali a Natale si trascorre “un altro momento d’amore tra noi” come egli scrive nella poesia Natale 2014. E come meglio spiega in Pensiero quando dice “venite amici, sedete qua: sereni. Il dolore fuori. Fuori i pensieri, sola la pace per lenire placida le tempeste dei nostri cuori”. E noi, oggi, siamo qui per aver accolto il suo caloroso invito. Il libro di poesie di Marco Lodi presentato a Bologna è stata davvero un’emozione, specie se vissuta al fianco di amici.