Perugia dimostra che su figli e droga la verità brucia e il prefetto Antonio Reppucci non ha torto accusando i genitori
La vicenda di Perugia dimostra che su figli e droga la verità brucia e il prefetto ha ragione a puntare l’indice contro la famiglia. Perché una mamma (o un papà) che non si accorge che il proprio figlio si droga ha certamente fallito il suo compito di educatrice prima e di tutrice poi. Ma per questo non si deve suicidare perché aggiungerebbe fallimento a fallimento.
Dovrebbe invece darsi da fare per rimediare agli errori commessi e fatti commettere. E dovrebbe farlo senza dare colpe agli altri o alla società che non aiuta la famiglia o al legislatore che non approva norme severe.
Il prefetto (ex) di Perugia, Antonio Reppucci, probabilmente ha usato termini ruspanti ma quello che conta è la sostanza. O almeno dovrebbe essere così. Per il putiferio che ne è nato evidentemente dire la verità non va bene. Specie in questa società falsamente puritana, bigotta e perbenista, ipocrita e vanagloriosa.
Cosa bisognerebbe pensare nel trovarsi di fronte un giovane maleducato? Uno di quelli che gettano di tutto per strada, che scarabocchiano i muri delle nostre città, che fanno i bulli o i teppisti o i vandali? Di chi è la colpa, l’errore o la mancanza se nessuno gli ha insegnato che il bene pubblico va salvaguardato e non deturpato. Se non gli hanno insegnato che gli altri vanno rispettati, che le donne non si ammazzano, che drogarsi non aiuta ad affrontare i problemi ma sarebbe opportuno rimboccarsi le maniche e tentare una soluzione?
L’educazione comincia dalla famiglia che semmai può sperare in un aiuto della scuola, della società, della Chiesa. Ma non può pensare di derogare agli altri i propri compiti per poi scagliarvisi contro quando richiamano giustamente i figli che sbagliano.