Se un’opinione sul referendum diventa lesa maestà sol perché un ambasciatore dice la sua sulla consultazione elettorale
Siamo davvero alla follia se un’opinione sul referendum diventa una questione di lesa maestà. Per più di 50 anni siamo stati una colonia americana. Gli Usa hanno sempre fatto il buono e il cattivo tempo. E nessuno ha mai detto niente. Invece, ora rischiamo la guerra per un’opinione.
Appena qualche anno fa (nel 2013) il signor Napolitano ha concesso la grazia a un condannato americano per il rapimento dell’imam di Milano Abu Omar. I colpevoli del disastro del Cermis, due piloti Usa che volavano basso per ammirare il panorama, furono lasciati liberi di tornarsene nel loro Paese senza pagare il conto con la giustizia. Erano i tempi di Prodi presidente del consiglio e Bersani ministro.
Ne potremmo raccontare molte altre di queste belle prove di sovranità nazionale che non hanno mai avanzato alcun dubbio e nessuna forma di protesta. Da almeno vent’anni siamo legati al cappio nazista che ogni giorno dice ciò che noi italiani dobbiamo o non dobbiamo fare eppure nessuno ha mai sollevato dubbi.
Il problema per gli equilibri del Paese è, invece, un ambasciatore Usa che si pronuncia per il Si al referendum costituzionale. Che è come dire che gli Usa dovrebbero lamentarsi per tutti i grandi commentatori nostrani che ogni giorno pontificano su chi debba essere il prossimo inquilino alla Casa bianca.
Probabilmente i nostri politicanti pensano che la gente sia come loro. Se loro fanno (e hanno fatto) ciò che gli stranieri comandano di fare (vedi l’Ue nazidiretta) anche i cittadini devono. Secondo loro, quindi, la gente nella cabina elettorale deciderà se mettere la croce sul Si o sul No facendosi influenzare dalle libere opinioni del signor John Phillips.