Giornalista e scrittore
 

La condanna di Viareggio e il populismo

La condanna di Viareggio e il populismo del difensore di Rfi e Fs dopo la sentenza prova di un Paese che protegge Caino

La condanna di Viareggio e il populismo che scorda vittime

Trovo sconcio sentire solo parlare di populismo dopo la sentenza di condanna di Viareggio e non cogliere alcun pensiero per il danno arrecato alle vittime. Al contrario dell’avvocato di Fs e Rfi, Armando D’Apote, non conosco le carte processuali. Ma sentir tacciare di populismo la sentenza emessa ieri sera a Lucca per la strage di Viareggio che è costata la vita a 32 persone è a dir poco di cattivo gusto.

Dalle sue parole emerge quella che è la cultura ormai tristemente dominante nel nostro Paese. Più che ai diritti delle vittime si pensa a quelli degli imputati e dei carcerati. Per cui quando ogni tanto c’è una condanna che sfugge alla prescrizione ci si meraviglia. Abbiamo assistito ad anni di battaglie per difendere Caino dimenticando e bistrattando Abele. Anni di confronti e scontri parlamentari per modificare i codici. Ma sempre tenendo conto delle esigenze di chi è alla sbarra senza pensare a quelle di chi ha subito il reato.
Per anni i nostri deputati e senatori hanno discusso di tempi e modi del processo finché non hanno trovato la giusta alchimia per salvare i delinquenti. Non hanno lavorato per accelerare la giustizia bensì per rallentarla e per trovare la quadra della prescrizione. E in questo loro pressante lavorio non si sono mai preoccupati di difendere il diritto delle vittime di avere il giusto risarcimento giudiziario.
Hanno dimenticato che non esiste alcuna prescrizione capace di lavare o rimarginare una profonda ferita causata da una violenza subita o da un diritto violato. E così siamo giunti all’assurdo che una vittima si veda quadruplicato in peggio il proprio difficile e triste status. Non solo subisce il reato. Ma deve pagarsi un avvocato e deve pagarlo al proprio aguzzino che molto spesso è nullafacente e nullatenente. E non avendo niente usufruisce del gratuito patrocinio e si fa difendere a spese della collettività.
Nel frattempo la vittima finisce in un tunnel senza fine o con la prescrizione come unica uscita. E lì trova molto spesso gente a cui non interessa nulla dell’inferno che ha vissuto e che continuerà a vivere. Un inferno che magari la porterà a decisioni estreme a causa del silenzio assordante che viene opposto al suo dolore. Se non ci fosse il rischio di cadere nell’ipocrisia che molto li contraddistingue, ai tanti buonisti, spesso finti, ai tanti democratici, spesso di facciata, ai tanti terzomondisti-altruisti, spesso per convenienza, sarebbe opportuno augurare che vivessero quell’inferno.

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