I magistrati non sono né santi né eroi ma uomini con difetti e ci sono i fannulloni, corrotti e chi fa il proprio dovere
I magistrati non sono né santi né eroi ma sono uomini e quindi hanno i loro difetti e dunque è normale o non rivoluzionaria l’idea che tra loro ci siano fannulloni, corrotti e quelli che fanno il loro dovere. Non mi trova affatto d’accordo, invece, la strana convinzione in questo Paese che vede come parte migliore della società italica i giudici e i magistrati.
E il governo pare avallare questa tesi, probabilmente più per convenienza che per convinzione. Personalmente sono spaventato dall’idea di assegnare una sorta di potere catartico ad alcuni a scapito di altri perché c’è del buono (e del cattivo) in ogni direzione si guardi. Del resto anche Cristo ha sbagliato nella scelta dei discepoli quando in ‘squadra’ si è ritrovato non solo Giuda Iscariota che l’ha tradito ma anche Simon Pietro che l’ha rinnegato. A mio avviso dare il crisma dell’onestà ai magistrati (e ai giudici) non va bene e anzi può rivelarsi un ulteriore pericolo per la democrazia.
Perché se Montesquieu ha teorizzato la divisione dei poteri una ragione ci sarà stata. Assegnare il potere a una sola parte senza bilanciamento si rischia la deriva. L’abbiamo già visto nel 1992 con Tangentopoli quando la classe politica è stata spazzata via a favore del potere indiscusso e indiscutibile dei magistrati. Pulizia andava fatta, sia chiaro, ma non per sostituire un potere con un altro che si arroga il diritto di fare e dire ciò che vuole con la certezza dell’impunità.
Una casta che decide le sorti di un cittadino, incarnando quasi sembianze divine, senza neppure il dubbio dell’errore. Un errore che può costare (come è già costato) vite umane. E sono davvero numerosi gli episodi che spingono a trovare urgentemente una via d’uscita per bloccare questa deriva a cui spinge l’ingiustizia o comunque i cattivi esempi di chi dovrebbe essere il baluardo della legalità. E ciò senza citare il caso delle intercettazioni del caso Palamara. Del resto, quante sono le sentenze quotidiane dettate dalla consapevolezza di poter fare ciò che si vuole perché tanto non se ne risponderà? Quante sono le prove lette e interpretate o piegate alla volontà di un giudice che non si è dimostrato terzo? E la domanda che ci si pone di fronte a questi obbrobri giudiziari è perché nulla si faccia per limitarli. Perché non prevedere un organo di controllo che applichi un meccanismo punitivo che commini pene pecuniarie a chi sbaglia?
Di Pietro contestava a Craxi che fosse impossibile che non sapesse ciò che accadeva nel suo partito. Ma vent’anni dopo si è ritrovato nella stessa situazione a parti invertite. I magistrati restano uomini e come tali sbagliano. E siccome non sono diversi dagli altri ci sono quelli che rubano e i fannulloni. Quelli che capiscono poco della materia e quelli che si lasciano corrompere. Ci sono quelli che adorano il potere e quelli che giocano al padreterno. Ma anche quelli che fanno il proprio dovere come dovrebbero essendo pagati con soldi pubblici per fare quello.
Tra loro ci sono degli eroi (Falcone e Borsellino in primis) ma ciò non significa, e la cronaca e la storia lo dimostrano, che dobbiamo assegnare a tutti quell’aura. Ora c’è la moda Raffaele Cantone. È diventato una sorta di Re Mida della legalità. Ogni volta che si intravede un problema il governo fa il suo nome con la speranza che per una qualche magia si trovi una soluzione. Vorremmo che fosse così, ma non lo è perché Cantone è un uomo come gli altri, con i suoi pregi e le sue debolezze. In queste ore sta tornando in auge, non si sa se per fini meramente propagandistici o meno, anche il nome del suo collega Nicola Gratteri. Qualcuno coltiva la convinzione che se lo mettessimo al governo d’incanto il Paese diventerebbe migliore. Ma la storia, che è una brava maestra priva di studenti modello, ci insegna che in questi casi due più due non dà sempre quattro.